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Take Shelter - Recensione

29/06/2012 | Recensioni | |
Take Shelter - Recensione

Ossessioni, paranoie, debolezze. Patologie di un mondo costretto a confrontarsi con quel senso di paura dettato da una perdita delle certezze, dal fatto che tutto è inviolabile, anche il sistema più perfetto. E l’America, con questo senso di incertezza ha cominciato a farci i conti con tragica serietà da ormai 11 anni a questa parte. Jeff Nichols, regista giovane ma con una visione filmica già fortemente sviluppata e che trova le sue radici  in quel senso di pericolo che attanaglia il genere umano, che coinvolge non solo l’America ma il mondo intero, con Take shelter (letteralmente mettersi al riparo, rifugiarsi) non si limita ad entrare nei meandri di un universo patologico.

Curtis LaForche vive in una piccola cittadina dell'Ohio con la moglie Samantha e la loro figlia Hannah di sei anni, sorda dalla nascita. Curtis conduce una vita modesta come capo equipaggio di una compagnia mineraria di sabbia. Samantha lavora part-time come sarta, vendendo la merce lavorata a mano al mercato delle pulci ogni fine settimana. Il denaro non è tanto, e quel poco che hanno viene utilizzato per le cure di Hannah. Nonostante ciò, Curtis e Samantha sono molto innamorati e la loro è una famiglia felice. Un giorno Curtis comincia ad avere sogni terrificanti su una tempesta apocalittica. Sceglie di mantenere il disturbo per se stesso, incanalando la sua ansia ossessiva nella costruzione di un rifugio per la tempesta nel cortile di casa.

Le definizioni di genere non si adattano e non servono a spiegare su quale terreno si poggia il film di Nichols. Certo è che thriller, psicologia e suspense sono l’eco di una filmografia ben precisa (inutile citare il maestro Sir Alfred Hitchcock), ma dosata sapientemente dal regista che dimostra la sua maturità ed onestà intellettuale, svincolandosi da superflue citazioni e sostenendo un’idea registica e stilistica assolutamente personale. Incarnazione quasi perfetta dell’inquietudine personale che si traduce in una ben più globale maniaca ossessione della catastrofe, un Michael Shannon (Nomination all’Oscar nel 2008 come Miglior attore non protagonista per Revolutionary Road) che giganteggia per sobrietà ed intensità recitativa, sostenendo il delirio del suo personaggio con la giusta sobrietà, senza calcare la mano anche nei momenti più drammatici. Al suo fianco un’eterea  Jessica Chastain (The Tree of Life, 2011) che non subisce la  preponderanza del collega, ma anzi la supporta e sostiene con solidità interpretativa.

Serena Guidoni

 


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